Regia di Gregorio Mattiocco
Una produzione Centro Sperimentale di Cinematografia
È la storia di Hlib, un ragazzo ucraino rifugiato in Italia, che vive con il suo fratellino Vlad, in una condizione economica precaria e senza alcun interesse a integrarsi nella società. Quando un giorno un professore (interpretato da Edoardo Pesce) si presenta a casa per parlare della pagella, Vlad finge che si tratti di un assistente sociale, sfruttando il fatto che Hlib non conosca una parola di italiano. “Ho scelto due fratelli ucraini che vivono in Italia non per raccontare la guerra - spiega all’Adnkronos Mattiocco - ma per dare voce a una condizione di estraneità”.
Il sentirsi fuori posto “è qualcosa che va oltre il disagio o l’inadeguatezza. Penso che la mia generazione viva a una velocità diversa da quella del mondo e questo scarto genera spesso la sensazione di essere disallineati”, dice il giovane regista. Ma per quel che lo riguarda “questo ‘essere altrove’ è una sorta di serbatoio creativo. Allontanarmi dalle cose, osservarle da fuori, mi permette di capirle meglio, di analizzarle con lucidità e poi di restituirle con il mio lavoro e raccontarle con il cinema. È un paradosso - prosegue - ma credo che mi piaccia sentirmi fuori posto: non essere mai completamente dentro una situazione mi aiuta a sviluppare pensieri critici, a conoscermi di più, e a non finire intrappolato nel ritmo comune delle cose”.
Regia di Gregorio Mattiocco
Una produzione Centro Sperimentale di Cinematografia
È la storia di Hlib, un ragazzo ucraino rifugiato in Italia, che vive con il suo fratellino Vlad, in una condizione economica precaria e senza alcun interesse a integrarsi nella società. Quando un giorno un professore (interpretato da Edoardo Pesce) si presenta a casa per parlare della pagella, Vlad finge che si tratti di un assistente sociale, sfruttando il fatto che Hlib non conosca una parola di italiano. “Ho scelto due fratelli ucraini che vivono in Italia non per raccontare la guerra - spiega all’Adnkronos Mattiocco - ma per dare voce a una condizione di estraneità”.
Il sentirsi fuori posto “è qualcosa che va oltre il disagio o l’inadeguatezza. Penso che la mia generazione viva a una velocità diversa da quella del mondo e questo scarto genera spesso la sensazione di essere disallineati”, dice il giovane regista. Ma per quel che lo riguarda “questo ‘essere altrove’ è una sorta di serbatoio creativo. Allontanarmi dalle cose, osservarle da fuori, mi permette di capirle meglio, di analizzarle con lucidità e poi di restituirle con il mio lavoro e raccontarle con il cinema. È un paradosso - prosegue - ma credo che mi piaccia sentirmi fuori posto: non essere mai completamente dentro una situazione mi aiuta a sviluppare pensieri critici, a conoscermi di più, e a non finire intrappolato nel ritmo comune delle cose”.